FAUSTO CORSINI

Il tempo vola. Già sette mesi sono passati dal giorno dell’estremo saluto. Se ne è andato lasciando vuoto incolmabile – oltre che nel cuore della moglie Adriana e della figlia Alessia – nella memoria dei tanti che lo hanno conosciuto ed apprezzato: nello sport, nel lavoro e nell’ambiente della solidarietà.

Se ne è andato raggiungendo gli amici Cesare e Guido, già impegnati sui campi dell’Etemo per organizzare tornei che mai hanno un vincitore. Si gioca e basta, nel vero spirito sportivo nel quale tutti e tre hanno sempre creduto.

Parlare di Fausto è facile e difficile al tempo stesso. Nei cassetti della memoria dei tanti che lo ricordano spuntano curiosità che forse non tutti conoscono. Per esempio: perché era stato soprannominato “Brotto”?

Con il portiere delle “rondinelle”, il veneziano Luigi, nulla di parentela, solo il ruolo identico a difesa dei pali, ovviamente in categorie ben distanti. Mai ebbero occasione di incontrarsi, strade diverse ma parallele, identiche per la posizione in campo e con la complicità degli undici metri.

Galeotti furono, infatti, i rigori da entrambi parati, con Fausto ad assurgere alle cronache del calcio nostrano, “saracinesca” della Rovatese e meritevole, come soprannome, del cognome del più titolato collega, pur esso capace di negare la gioia del gol agli avversari del Brescia.

Appese da entrambi le scarpe con i tacchetti al classico chiodo, ecco che la sorte – o, meglio, la comune passione per la musica: leggera per Fausto, lirica per Brotto. – tanti anni dopo li ha fatti involontariamente incontrare. Occasione una serata benefica (con Fausto promotore dell’iniziativa a favore di don Sandro Cadei, missionario in Togo) nella piazza gremita di Rovato per assistere al concerto che aveva per protagonista la compagna dell’ex rondinella.

Sempre a proposito delle sette note, Fausto, come detto, era più portato per una musica un po’ più leggera. Lui – protagonista a “Radio Montorfano” di una rubrica sportiva – gradiva esibizioni nostrane, ossia far cantare al karaoke personaggi come Azeglio Vicini, Giuseppe Baresi, il presidente del Bari Matarrese, l’arbitro bergamasco Messina e tanti altri, nella taverna di casa sua.

Tornando al mondo del pallone, non possiamo dimenticare che Fausto, una volta tolta la maglia da titolare, si accomodò in panchina in qualità di vice allenatore di Franco Pasquetti a Rovato.

Memorabile fu lo spareggio della squadra contro i rivali di sempre del Capriolo allo stadio Rigamonti, in città.

Alla fine furono in cinquemila ad applaudire il loro successo ed il relativo passaggio di categoria. Promozione trasformatasi poi in un trampolino per altri lidi e per altre esperienze, frutto di capacità organizzative non comuni. Come dimenticare i tre lustri passati a Lumezzane.

Partito come osservatore di giovani talenti, concluse l’avventura ricoprendo il ruolo di segretario.

Militò. Con vari compiti, pure in altri club blasonati come Carpenedolo, Travagliato, Darfo, Orceana e Rodengo.

Fu segretario pure dell’Associazione degli allenatori bresciani, sodalizio che gli riconobbe i meriti con la consegna della “Panchina d’oro”.

Insegnò calcio a tanti, giovanissimi e non, fu socio fondatore della “Medea”, organizzatrice della manifestazione tesa a ricordare gli amici Cesare Pettinari e Guido Settembrino.

Ma pure un torneo, a Darfo, capace di richiamare sul rettangolo di gioco ex professionisti di Juve, Milan e Brescia. Sempre con scopo benefico. Sia che si trattasse dell’oratorio camuno di Ono San Pietro, che per l’amico missionario in Africa.

Ci sarebbero tante altre cose da dire, come il suo impegno in campo comunale. Preferiamo però chiudere citando il suo motto: “A fare del bene… si sta bene” per mettere tutti d’accordo.

Basta uno sguardo rivolto in alto e dire: ciao Fausto, Cesare e Guido.

 

Franco Pasquetti